al Petrolchimico di Marghera
20.08 - Il presidente dell'Ilva di Taranto, Bruno Ferrante, di fronte alla possibile chiusura dell'Ilva risponde come un ambasciatore mandato in giro per il mondo a raccontare pietose bugie: "Dobbiamo lavorare per il risanamento ma si può risanare soltanto tenendo gli impianti attivi" . Praticamente risponde allo stesso modo dei vertici di Montedison, Montefiore ed Enichem, 17 anni fa all'allora giovane magistrato Felice Casson (oggi vice presidente dei senatori del Partito Demcratico) mentre dava inizio alle indagini sulle morti al petrolchimico di Marghera (Venezia).
Ma a Taranto il contesto è completamente diverso e molto più pericoloso per la salute pubblica. I sindacati prima di mandare in piazza gli operai dovrebbero riflettere e velocemente su quanto accadde al petrolchimico di Marghera tanti anni fa, a partire dagli anni '60 del secolo scorso, al fine di tagliere le unghie a quanti sostengono la formula dell'inaccettabile ricatto per un paese che si autodefinisce civile, ossia: salute in cambio di lavoro. Ricatto che prospera solo in un clima di malaconcertazione dove tutti guadagnano qualcosa a scapito della collettività. Ovviamente.
Non è tutto. C'è anche un altro aspetto che dovrà essere affrontato con decisione dal Governo Monti. Il fatto che Confindustria abbia chiesto uno "scudo normativo" ossia una legislazione di favore per la grande industria dell'acciaio. Insomma un'altra tragica legge ad personam. Se ciò si verificasse l'Italia finirebbe come una saetta nel medio evo con una economia tribale dove al lavoratore viene chiesto semplicemente di mettere la propria vita, la propria salute, la propria intelligenza nelle mani di poche "selezionate" persone, naturalmente pronte a chiedere perdono in caso di errori, sempre "involontari", scoperti da terzi che guarda caso sono esclusi dalla concertazione. E purtroppo non sono i giornalisti, categoria alla quale apparteniamo anche noi.
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